Non si cresce vendendo le terre comunitarie


Non si cresce vendendo le terre comunitarie

 “Cresci Italia”, questo il nome che accompagna il decreto-legge del 24 gennaio 2012 con il quale il Governo Monti intende rilanciare lo sviluppo e la crescita economica del nostro Paese
Un decreto legge, ora in conversione, che è all’esame del Senato dove sarà votato in Commissione Industria il prossimo 9 febbraio. Riportiamo due importanti iniziative in merito alla vendita di terre demaniali.
Aiab: “Si all'affitto, no alla vendita!”
Un fronte di oltre dieci associazioni e cooperative del mondo agricolo in presidio a Montecitorio propone emendamento all'art.66 del DDL di conversione in legge del DL 24/01/2012, n.1 per trasformare l'alienazione in locazione
Liberalizziamo il diritto d'uso, non la proprietà! Si potrebbe riassumere così il senso della manifestazione che l'8 febbraio ha riunito in piazza Montecitorio, a Roma, quattordici associazioni e cooperative del mondo agricolo e ambientalista che contestano l'alienazione di un bene comune importante come i terreni agricoli e a vocazione agricola demaniali.
Aiab, AlpaA, Ari, Campagna popolare per l'agricoltura contadina, Crocevia, Legambiente, Libera, Slow Food, Terra Nuova, Coop Agricoltura Nuova, Coop Carlo Pisacane, FederTrek, Associazione Michele Mancino, Equorete e Terra Terra si oppongono alla vendita dei terreni demaniali prevista dall'art. 66 del decreto Liberalizzazioni e dal Ddl di conversione del decreto, attualmente in discussione alla 10a commissione del Senato. Ma dalle associazioni arriva anche la proposta di una soluzione alternativa, più giusta, equa ed efficace: la concessione in locazione delle terre pubbliche.
Il presidio si è infatti concluso con l'invio ai Senatori delle Commissioni 9a e 10a del Senato, nonché al ministro Catania, di una proposta di emendamento al citato art.66 per trasformare la prevista alienazione dei terreni demaniali in concessione in locazione.
Fai Cisl: La vendita di terreni demaniali agricoli contraria all’interesse generale
La Fai Cisl contesta il Decreto Legge 1 del 24 gennaio 2012 il cui articolo 66 prevede la vendita a privati di terreni demaniali agricoli con lo scopo di "concorrere al contenimento del debito pubblico".
Il Segretario generale della Fai Cisl, Augusto Cianfoni, ha scritto al Presidente del Consiglio Mario Monti, al Ministro politiche agricole, ambientali e forestali Mario Catania; al Presidente Commissione agricoltura del Senato Paolo Scarpa Bonazza Buora; al Presidente Commissione agricoltura Camera dei Deputati Paolo Russo; ai Capogruppo del Senato: Maurizio Gasparri (Popolo della Libertà), Anna Finocchiaro (Partito Democratico), Federico Bricolo (Lega Nord Padania), Felice Belisario (Italia dei Valori), Giampiero D’Alia (Unione di Centro per il Terzo Polo); ai Capogruppo della Camera dei Deputati: Fabrizio Cicchitto (Popolo della Libertà), Dario Franceschini (Partito Democratico), Massimo Donati (Italia dei Valori), Pier Ferdinando Casini (Udc, Svp e Autonomie), Marco Giovanni Reguzzoni (Lega Nord Padania) dichiarando a nome della Federazione: «Pur considerandolo un problema, il mancato utilizzo di molti terreni agricoli demaniali o di proprietà collettive può essere contenuto o risolto mediante forme che non ne compromettano la proprietà che è pubblica non nel senso che appartenga a Comuni, Regioni o Stato, ma alla collettività e perciò non alienabile a proprietà privata. E' proprio dei beni demaniali essere di tutti e non appartenere a nessuno. Condividiamo la preoccupazione di chi ha segnalato il danno subìto dal Paese con il mancato utilizzo di una quantità considerevole di terreni fertili. L'obiettivo, secondo noi, può essere perseguito mediante forme di concessione a lungo termine che prevedano un canone annuo di affitto. Il giovane agricoltore, laddove non interessato a farne una speculazione personale, dovrebbe trovare interesse più nell'affitto che nell'acquisto, prospettiva molto più onerosa finanziariamente per il piano d'impresa. Chiediamo quindi al Governo e al Parlamento di ripensare ad una decisione politicamente censurabile e dal forte sospetto di incostituzionalità».


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