Prefazione di Terracini al libro di Cinanni "Lotte per la terra e comunisti in Calabria (1943-1953)


Prefazione Di UMBERTO TERRACINI

Nel 1976 il passivo della nostra bilancia alimentare è stato di circa 4 mila miliardi di lire, ma gli esperti prevedono che nel 1977 essa raggiungerà i 5 mila miliardi. Ciò è da addebitarsi prevalentemente alla nefasta politica dell’emigrazione promossa da De Gasperi e perseguita instancabilmente dai governi della Democrazia Cristiana in questo secondo dopoguerra con il rifiuto della riforma agraria pur storicamente matura e la conseguente riduzione alla fame delle popolazioni meridionali. Di qui infatti la fiumana immensa e precipitosa verso tutti i paesi del mondo di oltre 6 milioni e mezzo di lavoratori italiani e il ritorno aggravato nella nostra penisola del fenomeno delle terre incolte che oggi sono valutate circa 5 milioni di ettari. L’odierna paurosa crisi dell’economia italiana, della quale in deficit della bilancia alimentare è insieme indice e causa primaria, è dunque un frutto attossicato delle scelte che sono state fatte dai governanti negli anni Cinquanta per servire interessi di una classe sfruttatrice e parassitaria, qual è la grande borghesia agraria, e per puntellarne e restaurarne l’arcaico odioso sistema di potere contro la salente impetuosa ondata rinnovatrice. E’ proprio questa realtà che da carattere di attualità al libro nel quale Paolo Cinanni espone, sulla base della più rigorosa documentazione , le varie vicende di quel grande movimento che, nel primo decennio dopo la fine della guerra, ebbe a protagoniste le popolazioni contadine del Mezzogiorno le quali, con slancio generoso , avevano intrapreso la trasformazione delle campagne attorno ai loro borghi miserandi occupandole e rendendole produttive a forza di braccia e con il sussidio di pochi rozzi primitivi strumenti - cominciando dalle “ terre comuni “ usurpate in un lungo passato grazie all’omertà e alla protezione dei poteri costituiti. Nessuno meglio di Paolo Cinanni avrebbe potuto rappresentarci queste vicende, egli che ne fu partecipe e ben spesso animatore e dirigente nella sua regione, la Calabria, che di esse fu all’epoca teatro preminente. Talchè si può dire si può dire che, narrandole, egli ha anche tracciato nelle grandi linee la propria biografia.
Militante rivoluzionario sotto specie cospirativa ai tempi della dittatura e poi combattente nelle formazioni partigiane, fin dai primi giorni della Liberazione Paolo Cinanni aveva infatti prescelto come proprio campo preferito l’attività nella ricostruzione del paese il mondo contadino in funzione della riforma agraria, che egli avvertiva insieme come riscatto mano di immense masse lavoratrici umiliate e calpestate e come esaltazione della potenza generatrice di quegli sterminati spazi che da secoli erano stati sottratti all’opera fecondatrice del lavoro. E prodigando di volta in votale sue energie ora nell’azione politica, in incarichi anche eminenti di Partito, ora nell’attività sindacale, come organizzatore di leghe e dirigente di Camere del Lavoro, sfuggendo così ad orizzonti limitati che caratterizzano ogni specializzazione di campo, egli riuscì a comprendere nel suo intero il grandioso capitolo della storia nazionale in atto che si intitolava alla trasformazione dei rapporti di proprietà della erra e del lavoro nell’agricoltura. Fu questa globalità d’impostazione che portò Paolo Cinanni alla discoperta del valore nodale che, per la realizzazione di una seria e completa riforma agraria aveva nel nostro paese la questione delle “ terre comuni “, altrimenti dette da regione a regione “ terre aperte “ o “ demani comunali” o usi civici, denominazioni che tutte indicano le terre che al tempo delle leggi eversive della fedualità erano state riconosciute come pertinenti indivisibilmente alle popolazioni, ma che poi, con i regimi della restaurazione, erano state riprivatizzate e appropriate alla spuria progenie nata dal congiungimento della superstite nobiltà del blasone con la nuova nobiltà del denaro. Paolo Cinanni si persuase infatti che, per assicurare alla riforma agraria un fondamento ineccepibile di diritto sollevando nel contempo l’Erario pubblico del peso schiacciante di ogni indennità di esproprio, bisognava innanzitutto e subito , grazie alla congiuntura politico sociale conseguita alla guerra, al rovesciamento della dittatura e alla incombente auspicata radicale trasformazione istituzionale, rievocare alla collettività contadine, l’immenso patrimonio fondiario che con la violenza e con l’imbroglio, erra stato loro sottratto. Ma la sua concezione, valida in punto di diritto e suffragata dalle ricerche storiche da lui sempre più approfondite, non trovò recepimento non dico nelle cerchie del potere ufficiale e costituito ma neanche presso le Direzioni dei partiti asserentesi democratici e progressisti – il suo stesso compreso – e nei centri maggiori dell’organizzazione sindacale. E dire che poi, a congiuntura politica ormai intermente mutata, fu la corte Costituzionale in certe sentenze a fare propria la concezione di Paolo Cinanni, ma solo per decidere, secondo la sua competenza, di casi particolari e circoscritti, senza che l’efficacia del suo dettato potesse estendersi fino ad abbracciare il problema nel suo intero. Poi, aiutandolo spopolamento terrificante della campagne del Meridione, specie nelle regioni più assillate dal problema della riforma agraria, ed insieme il pauroso estendersi dele fenomeno delle terre incolte e abbandonate, le componenti primarie della riforma agraria vennero vanificandosi fino quasi a sparire, distruggendono così ogni prospettiva di attuazione. No per nulla la rivendicazione da lustri e lustri è scomparsa dai programmi scritti e dalla agitazione dei partiti della sinistra operaia e contadina, sostituita dalle più inconsistenti frasi sulla necessità di dedicare all’agricoltura, genericamente menzionata, attenzione e impegno nella ricerca delle vie d’uscita dalla crisi in atto. Ma Paolo Cinanni aveva il doppio torto della sua estrazione contadina – che per oscure e inconsapevoli vie chissà non avesse distorto egoisticamente la sua ricerca, i suoi studi le sue conclusioni – e la sua modestia che lo ha sempre portato a sdegnare ogni orpello di demagogia alle sue pur valide iniziative e impostazioni dottrinarie e d’azione politica. E per non alienarsi dal maggior movimento , col quale ha stretto sempre legami inscindibili, accetto di fare opera per il raggiungimento anche di obbiettivi che tuttavia avvertiva inidonei per attuare o anche solo avvicinare quel decisivo mutamento che resta per lui o dovrebbe essere per tutti i rivoluzionari irrinunciabile in questo periodo storico del nostro paese: la riforma agraria nelle campagne della Repubblica. Nell’ultima parte del suo lavoro Paolo Cinanni parla delle caratteristiche che dovrebbero essere del militante comunista, è in modo tale da offrire un prezioso contributo ad un altro irrinunciabile scopo dell’azione alla quale si è votato : il rinnovamento dell’uomo come operatore del rinnovamento dei rapporti che intercedono fra l’uomo e la natura e fra gli uomini stessi all’interno delle collettività nelle quali essi si raccolgono per affrontare la natura . Paolo Cinanni infatti è stato in ogni momento della sua vita combattiva anche un educatore specialmente nei confronti dei giovani, ai quali ha dato un esempio mirabile di rigore morale, di severità intellettuale e di coerenza politica. Del che questo libro ci reca un’ennesima luminosa testimonianza Roma 7 marzo 1977 Tra qualche giorno, il 29 ottobre ricorre il 60° anniversario dei tragici fatti di Melissa, allora: “ I reparti specializzati della “ celere”, vengono inviati nei centri dove il movimento è più forte: i paesi vengono posti in stato d’assedio, le popolazioni terrorizzate con mille prepotenze ed angherie. I palazzi dei vecchi baroni si trasformano spesso in caserme, da dove i reparti della polizia partono al mattino per dar la caccia ai contadini che arano e seminano questa o quella terra. Ed è stato precisamente uno di questi reparti , arrivato da Taranto e ospitato prima nel palazzo del barone , che il 29 ottobre si porta sul demanio di Fragalà, a Melissa, e spara con il mitra che stanno arando la terra di proprietà comune. Due di essi muoiono sul campo: Giovanni Zito di quindici anni e Francesco Nigro di 29; Angelina Mauro, ferita gravemente, morra pochi giorni dopo nell’ospedale di Crotone, dove sono ricoverati in gravi condizioni altri 15 tra i feriti che non erano in grado di scappare: Sei contadini vengono arrestati. Dopo la sparatoria, senza neppure portar soccorso ai feriti, i poliziotti scappano, rifugiandosi nel palazzotto del barone. Ma l’indignazione popolare è incontenibile: la commozione scuote tutta l’Italia: lo sciopero generale indetto dalla CGIL il 31 ottobre trova l’adesione di ogni ceto e categoria “ . “Da questa solidarietà, viene al movimento contadino viene un nuovo vigore: dalla Calabria esso si allarga alle altre regioni meridionali, al Lazio, alle Isole; e a fianco dei contadini esso vede spesso impegnati gli operai, vede schierarsi dalla loro parte il mondo della cultura, ch riprende la denuncia delle insopportabili condizioni del Mezzogiorno. Il dibattito sulla questione meridionale si riaccende più vivace che mai e conquista alla causa del Mezzogiorno lo schieramento più vasto: il Governo è isolato e battuto; il consiglio dei Ministri riunito il 15 novembre , prende finalmente la decisione di presentare al Parlamento la prima legge di riforma agraria. Erano state necessarie tante lotte , e lo stesso sacrificio dei Caduti per portare il Governo a riconoscere la realtà calabrese e la necessità della riforma agraria. . Da Camigliatello Silano Alcide De Gasperi, che adesso vorrebbero fare santo, lancia la famigerata e scellerata parola d’ordine, che egli andrà poi ripetendo alle masse disoccupate , in tutte le regioni del M: “ Imparate una lingua e andate all’estero”: svuotare così, facendo il deserto, la prospettiva costituzionale stessa di dare alla “proprietà una funzione sociale” e alla Calabria un autonomo avvenire di sviluppo. ”. Paolo Cinanni Lotte per la terra e comunisti in Calabria. Di qui infatti la fiumana immensa e precipitosa verso tutti i paesi del mondo di oltre 6 milioni e mezzo di lavoratori italiani e il ritorno aggravato nella nostra penisola del problema delle terre incolte che oggi ( 1977) sono valutate circa 5 milioni di ettari . La odierna crisi della economia italiana, della quale il deficit della bilancia alimentare è insieme indice e causa primaria, è dunque un frutto attossicato delle scelte che sono state fatte consapevolmente dai governanti negli anni Cinquanta per servire gli interessi di una classe sfruttatrice e parassitaria, qual è la borghesia agraria e per puntellare e restaurarne l’ arcaico odioso sistema di potere contro la salente impetuosa ondata rinnovatrice…… “Poi, aiutando lo spopolamento terrificante della campagne del Meridione, specie nelle regioni più assillate dal problema della riforma agraria, ed insieme il pauroso estendersi del fenomeno delle terre incolte e abbandonate, le componenti primarie della riforma agraria vennero vanificandosi fino quasi a sparire, distruggendo così ogni prospettiva di attuazione. Non per nulla la rivendicazione da lustri e lustri è scomparsa dai programmi scritti e dalla agitazione dei partiti della sinistra operaia e contadina, sostituita dalle più inconsistenti frasi sulla necessità di dare all’agricoltura, genericamente menzionata , attenzione e impegno nella ricerca delle vie d’uscita dalla crisi in atto.

Roma 7 marzo 1977

“ Terre pubbliche” e Mezzogiorno
Prefazione di Umberto Terracini
Considerazioni tecnico- giuridiche di Guido Cervati
Feltrinelli Editore - Prima edizione Maggio 1977

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